Siciliani illustri chiacchierati, indagati, ma sereni

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di Salvo Barbagallo

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I loro nomi spuntano puntualmente e periodicamente a destra e a manca sui quotidiani nazionali a seguito di inchieste della magistratura, a seguito di intercettazioni, alcuni nomi direttamente, altri per riflesso. Sono nomi di Siciliani illustri, di tutto rispetto, che la Sicilia e i Siciliani tutti rappresentano, in un modo o in un altro. Le vicende in cui appaiono questi nomi sono le più disparate, e dentro queste vicende vi si trovano (o si ri-trovano) parlamentari, imprenditori, professionisti. Normalmente sui mass media locali i riscontri di storie individuali (o generali) vengono riportati quando i “casi” diventano eclatanti, e il motivo è semplice: quasi sempre le fonti d’informazione non sono locali e quindi poco accessibili dalle periferie. Ma il punto d’attenzione non è solo questo. A nostro avviso (ma potremmo essere in errore): c’è l’inconscia speranza che le malefatte nelle quali i nomi illustri, a vario titolo, sono coinvolti non corrispondano a verità. D’altra parte vale costantemente il principio della presunta innocenza, fino a quando chi è accusato non viene giudicato definitivamente colpevole. Probabilmente questo potrebbe costituire un “alibi” per quanti credono che esistano ancora punti di riferimento certi e inattaccabili, e per quanti possono essere interessati a mantenere il dubbio sulla loro integrità, affermando d’essere “sereni” e “fiduciosi” nell’operato della magistratura.

Ma…

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C’è un altro punto d’attenzione che riguarda la “posizione” del Siciliano “comune”: il suo allontanamento dalla politica perché è costretto a notare la poca attendibilità di chi lo governa nella regione, la scarsa credibilità che attribuisce alla classe imprenditoriale che dovrebbe dare lavoro e non lo dà, la lontananza da chi governa il Paese che viene nell’Isola solo in occasioni accademiche o elettorali, la sfiducia crescente verso quanti si ammantano dell’etichetta “antimafia”.

Difficile (se non quasi impossibile) ribattere a Paolo Mieli quando scrive (Il Corriere della Sera, 6 aprile 2016) … Accuse generiche? No. Si possono fare nomi e cognomi. Vincenzo Artale titolare di un’azienda di calcestruzzo che da dieci anni era salito alla ribalta come grande accusatore di mafiosi e, un anno fa, era stato eletto in un ruolo dirigente dell’associazione antiracket del suo paese, è stato arrestato in provincia di Trapani per tentata estorsione «aggravata dal favoreggiamento alla mafia» (quella di Mazara del Vallo). I costruttori Virga di Marineo, a dispetto del loro sostegno alle associazioni nemiche di coppola e lupara e dei riconoscimenti ottenuti da associazioni del calibro di «Addio pizzo», di «Libero futuro» e financo dal Fai, sono stati accusati di essersi arricchiti con il sostegno del mandamento di Corleone. Mimmo Costanzo anche lui grande paladino antimafioso, è stato arrestato nell’inchiesta sulla corruzione Anas ed è al centro di indagini per i suoi rapporti con la cosca catanese. Idem Concetto Bosco Lo Giudice finito, con lo stesso genere di imputazioni, ai domiciliari. E se non è mafia, sono comunque storie di natura consimile. Carmelo Misseri imprenditore di Floridia in provincia di Siracusa («ribellarsi è giusto», ripeteva in pubblico) pagava tangenti alla Dama Nera dell’Anas, Antonella Accroglianò. E, a proposito di Siracusa, c’è l’imbarazzante caso di una Confindustria locale guidata dapprima da Francesco Siracusano (dimissionato per affari sospetti), poi commissariata con Ivo Blandina ( rinviato a giudizio per un’allegra gestione di fondi con i quali aveva acquistato uno yacht) e infine con Gianluca Gemelli ( il «marito» di Federica Guidi travolto, assieme alla compagna ministra, dalla vicenda Total). Il presidente della Camera di Commercio di Palermo Roberto Helg anche lui proclamatosi grande combattente contro «la piaga delle estorsioni», è stato condannato a quattro anni e otto mesi dopo che era stato filmato mentre intascava una tangente di centomila euro da un poveretto che voleva aprire una pasticceria all’aeroporto del capoluogo siciliano. E tramite il «caso Helg» si scopre una parentela tra le vicende siciliane di Confindustria e quelle di Unioncamere, altra associazione in cui si notano sintomi di diffusione dell’infestazione qui descritta. Per non farsi mancare nulla, Montante è anche presidente Unioncamere Sicilia e della Camera di Commercio di Caltanissetta. Se Squinzi volesse favorire il debutto del suo successore, potrebbe trovare l’occasione (che so?) di pronunciare a freddo un «elogio di Sciascia». Montante capirebbe l’antifona e ne trarrebbe le conseguenze. Forse.

Come controbattere Francesco Grignetti (La Stampa, 9 aprile 2016) quando scrive riportando il contenuto di intercettazioni sul tema delle “Capitanerie” Una grande ragnatela, dove il «clan del quartierino» si muoveva a destra e sinistra per le sue scorribande, ecco che cos’è la politica vista dal retrobottega (…) 13 aprile, al ministero ora c’è Graziano Delrio. Colicchi: «Lo Bello deve vedere Delrio… lo va a trovare per il tema dell’autorità portuale di Augusta… L’omino del gabinetto delle Capitanerie di porto ha mandato avanti una cosa, dicendo… (le autorità portuali, ndr) vanno date alle Capitanerie di porto, perché così… c’è una gestione uniforme… Delrio di questa roba qua non sa un cazzo…» (…) . Già, le cene. Colicchi ne organizza una per l’ammiraglio con Raffaele Tiscar, vicesegretario di palazzo Chigi e Carlo Pelanda. In un’altra cena, Colicchi a tavola aveva Ivan Lo Bello, monsignor Guido Paglia e il senatore Roberto Cociancich, Pd. Per la cronaca, a luglio un emendamento del dem Ernesto Carbone, relatore alla legge Madia, prevede la decapitazione delle Capitanerie di porto. Non se ne farà nulla per la contrarietà proprio di Delrio (…).

Eccetera, eccetera, andando a Il Fatto Quotidiano di ieri (9 aprile 2016, articoli di Primo Di Nicola, Carlo Tecce, Antonio Massari, Davide Vecchi) che in prima pagina titola “Così lo staff della Finocchiaro aprì la commissione a Mr. Guidi” in riferimento al “blitz nel giorno in cui parlava la Boschi, due settimane prima dell’emendamento Tempa Rossa. La combriccola e il “gancio” con Delrio dopo le manovre per una nomina amica al porto di Augusta…”.

Un quadro sconfortante dove, al centro, vengono collocati personaggi Siciliani di primo piano. Cosa dovrebbero dire o fare i Siciliani? Piangersi addosso o…reagire? E con quali “strumenti” reagire?

*Le immagini sono tratte da Il Fatto Quotidiano e La Stampa

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